Com’è nata la ricerca sul Maladaptive Daydreaming?

In questa intervista fatta da Jayne Biegelsen, il dott. Eli Somer parla di come il maladaptive daydreaming sia diventato un fenomeno sempre più conosciuto nel corso del tempo. Le tematiche che vengono affrontate durante questa intervista sono diverse, partendo da come nacque la ricerca a come si stia cercando di trattare il maladaptive daydreaming oggi.

Qui abbiamo la prima parte dell’intervista in cui si parla delle origini degli studi sul maladaptive daydreaming e di come Somer abbia identificato il fenomeno e quindi sia arrivato a fare studi qualitativi su alcuni suoi pazienti.

 

Somer si racconta come un clinico che si è sempre occupato di abuso infantile, anche in ambito di negligenza di cure. Egli ha studiato a lungo i possibili esiti di questi eventi traumatici nella vita dell’individuo; in particolare si è occupato di dissociazione, intesa come disconnessione di alcune funzioni, come ad esempio la memoria dalla consapevolezza o la percezione dal sentire fisico, fino ad arrivare a dissociazioni di identità.

Com’è iniziata la ricerca sul Maladaptive Daydreaming

Tutto iniziò vent’anni fa, quando Somer ebbe la fortuna di incontrare ben 6 pazienti con caratteristiche cliniche molto simili, tutti reduci da una serie di eventi infantili avversi. La curiosità aumentò a tal punto da cominciare a pubblicare ciò che emergeva dalle sedute cliniche con i pazienti, con una particolare attenzione al loro mondo interno e alla ricchezza dei dettagli di cui erano costruite queste fantasie.

È ancora possibile che questo disagio venga scambiato come una pratica normale che pare non avere nulla di patologico. In verità sappiamo che l’attività di maladaptive daydreaming è molto di più che “semplicemente” una mente che immagina scenari; questo perché ha dei pattern di comportamento come i movimenti cinestetici, l’utilizzo di musica come elemento attivante e così via.

La prova più evidente del fatto che non sia qualcosa di salutare o normale è l’esistenza di un’alta comorbidità con diversi disturbi mentali, come l’ADHD (sindrome da disturbo di attenzione/iperattività), si dimostra inoltre strettamente connesso a disturbi d’ansia e disturbi depressivi.

Emerge dagli studi che si tratta in effetti di un disturbo a sé stante, perché seppur correlato, MD non è solo un pattern sintomatologico (quindi non è solo un sintomo di un altro problema sottostante).
Lo dimostra il fatto che ci siano persone con un disturbo depressivo che non presentano sintomi di MD e all’opposto che chi presenta sintomi di MD non è detto abbia un disturbo depressivo.

Come viene costruita la scala per studiare il Maladaptive Daydreaming

Nella seconda parte dell’intervista, viene spiegato come la costruzione della scala per lo studio del maladaptive daydreaming abbia determinato un passo importante per la ricerca.

Somer aggiunge che non è necessario che ci sia stato un evento traumatico per poter determinare la presenza del MD. Dunque, anche se c’è una correlazione, non è una condizione necessaria.

In un primo momento Somer pensava si trattasse di un disturbo dissociativo, che però aveva delle caratteristiche ben definite che lo differenziavano dai disturbi conosciuti. Nel MD c’è in effetti una sorta di dissociazione della coscienza, ma non è involontaria, né tanto meno c’è un’assenza totale di coscienza. Ciò di cui parla Somer è di una capacità di assorbimento tale da essere in grado di riuscire a mantenersi in parallelo anche ad un “senso di presenza”.
Ciò che caratterizza molto il MD è il fatto che si tratti di un’attività soddisfacente, “rewarding”, perché è collegata ad un elevato grado di gratificazione.

L’attività del fantasticare in sé non avrebbe nulla di disfunzionale se non fosse che, dato che è molto gratificante, diventa ossessiva nel maladaptive daydreamer.

Somer suggerisce che ciò che dovremmo fare è imparare a controllare il meccanismo del MD e piuttosto che smettere di colpo, perché il daydreaming può avere vantaggi ed essere come un nutrimento, purché non diventi qualcosa che controlla l’individuo e non gli permette di svolgere le attività quotidiane.

Somer parla di MD come qualcosa di disadattivo in termini di una dipendenza comportamentale.
Questo significa che per poter trattare questo disturbo dobbiamo prendere in considerazione ciò che funziona con le dipendenze comportamentali, come ad esempio la dipendenza da scommesse e gioco d’azzardo.

Questi interventi però non agiscono su ciò che ha influito al consolidamento del disturbo, ma si concentrano nel correggere i comportamenti.



Come intervenire sul Maladaptive Daydreaming

Non tutti conoscono il maladaptive daydreaming e sanno come poterlo trattare, per questo Somer suggerisce anche in questo video di rivolgersi a qualcuno di esperto in trattamento di dipendenze comportamentali, per poter avere un sostegno valido.

Ciò che si può fare per migliorare è:

  1. Costruire un’alta motivazione – dato che si tratta di una dipendenza comportamentale bisogna essere motivati per poter accorgersi quali sono i veri costi di questa attività e non solo pensare ai benefici.
  2. Self-monitoring – generalmente il passaggio che avviene verso lo stato dissociativo viene avviene in modo automatico e non consapevole e quindi è importante cercare di tenere traccia quanto tempo assorbe e in quali circostanze si attiva. Questo migliora la consapevolezza.
  3. Mindfullness training – permette di essere maggiormente cosciente dell’esterno e ridurre lo stato di assorbimento nel fantasticare.

In conclusione, ciò che Somer ci vuole trasmettere in questa intervista è di comprendere quanti passi in avanti sono stati fatti per la ricerca di questo fenomeno, sia nell’interesse di scoprire quali sono le cause e i meccanismi sottesi ad esso, sia per poter trovare un metodo di trattamento adeguato, che possa giovare a coloro che ne sono affetti e cerano di andare avanti.

Per maggiori informazioni consiglio di leggere anche la pagina di Ricerca e divulgazione e la pagina di Disturbi correlati.

 

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