Superare i sogni e scrivere un romanzo
Camilla e la sua torta di mele.
E’ il romanzo scritto da Chiara Nini, socia di APS Maladaptive Daydreaming Italia e autrice di diversi articoli per questo blog.
E’ il successo di una persona che soffriva di maladaptive daydreaming che desidero condividere: è riuscita concretizzare l’energia mentale in qualcosa di concreto, un progetto personale.
Trovo molto interessante sottolineare un aspetto: il romanzo non nasce dal maladaptive daydreaming, ma dal suo superamento.
Molti maladaptive daydreamers hanno tentato di scrivere le loro fantasticherie, partendo dal principio che “se immagino così bene delle storie, ne uscirebbero dei bei romanzi”. Ma non è così, e l’insuccesso dei vari tentativi porta a numerosi sensi di colpa.
Il maladaptive daydreaming non è la fantasia dello scrittore, ma un metodo di fuga dalla realtà e di autogratificazione che per definizione è maladattiva, ovvero non porta benefici.
Se fosse così semplice, non l’avremmo tutti già fatto?
Chiara ha scritto un romanzo nel momento in cui ha recuperato una dimensione di benessere e fiducia in se stessa.
Ho avuto l’onore di scrivere la presentazione di questo libro, che desidero riportare qui.
Se vuoi acquistare il libro lo trovi in versione digitale e cartacea QUI
Camilla e la sua torta di mele
Presentazione di Valeria Franco
Un libro in cui tutti sono protagonisti.
Non è lo sguardo egocentrico dell’io che percepisce gli altri solo fintantoché sono presenti nel suo campo visivo. Né lo sguardo morboso e pettegolo dell’io che vive delle emozioni degli altri e, nel frattempo, le giudica per elevarsene al di sopra.
Lo sguardo che percepite in questo libro è quello di un io sempre perfettamente consapevole che, una volta chiusa la porta, partita l’automobile, riagganciato il telefono, l’altra persona continua ad esistere nella propria vita, indipendentemente da esso.
No, non è una cosa scontata. Certo, tutti sanno che è così, razionalmente. Ma non tutti lo sentono. In pochi sentono continuamente, con lucidità, che gli altri sono protagonisti del film della propria vita e che, ai loro occhi, noi siamo relegati, se fortunati, al ruolo di migliori amiche della protagonista, o comparse fugaci la maggior parte delle volte.
L’io narrante di questo libro lo sente sempre e ci pone forzatamente in questa insolita posizione di osservatori esterni, attraverso il corpo e la coscienza della protagonista.
Lei, Chiara, forte come narratore, nel personaggio invece si svela timidamente, come in un gioco di specchi riflessi. La percepiamo quasi soltanto nel momento in cui intercetta la vita degli altri: viene vista con i loro occhi, vissuta attraverso i loro drammi. Negli occhi di Chiara scorgiamo le persone che la guardano e questo la descrive e la definisce.
Nel Quattrocento andava di moda un genere artistico chiamato “Sacre Conversazioni”. Si tratta semplicemente di santi e Vergini col Bambino che stanno gli uni accanto agli altri, ma nella sapienza dei maestri pittori queste figure più umane che sacre intrecciano giochi di sguardi e gesti appena accennati, ricamando relazioni.
Se fosse un dipinto, questo romanzo sarebbe una specie di “Sacra Conversazione”. Ognuno è intrecciato agli altri, in connessione nel bene e nel male con le persone della propria vita.
Chiara è il centro di un cerchio che costituisce l’orizzonte della sua esperienza personale, il quale interseca numerosi altri cerchi. Non è l’esperienza totale del mondo, né anela minimanente ad avere aspirazioni universali. Sarebbe arrogante e decisamente irrealistico.
Così come Chiara è consapevole della centralità degli altri nei confronti del proprio cerchio, è anche estremamente cosciente dell’esistenza del confine di quella circonferenza: la propria esperienza è limitata al proprio vissuto. Non possiamo vivere tutte le vite, conoscere tutte le cose.
Possiamo estendere quel confine? Si, volendo possiamo farlo, con la cultura, con i viaggi, con le conoscenze.
Ma qui il romanzo ci sorprende. Non cerca mai di valicare quel limite, non è un’opzione che prende davvero in considerazione. E ciò ci insinua uno strano dubbio: non è che talvolta siamo così presi dalla foga di allargare quel confine che ci dimentichiamo che potremmo osservare cosa c’è al suo interno, tanto per cominciare?
Cosa c’è nel cerchio dell’esperienza del nostro vissuto? Ci sentiamo come un naturalista che, abituato ad studiare gli affascinanti grandi mammiferi africani, un giorno scopre l’incredibile ecosistema che si sostiene sui pochi metri quadrati di uno stagno locale, con tritoni, pesci, libellule, muffe e piante acquatiche. Vita, crudeltà e meraviglie in miniatura.
È proprio in questo spazio interno al cerchio che si intrecciano delle storie dei non eroi che popolano in romanzo.
E la voce narrante ci racconta non solo che queste storie sono degne di essere narrate, ma, con grande audacia, ci spiega persino che imparato cose da ciascuna di esse. Si può davvero imparare così tanto semplicemente osservando le persone della nostra vita? Il nostro limitato orizzonte può davvero essere paragonato ad un decalogo di valori, considerazioni e saggezza?
Ognuno di noi deve rispondere a questa domanda per sé. Non è da tutti fare dell’osservazione delle persone un campionario umano di interesse senza scadere nella banalità o nella psicologia spicciola.
Chiara (e per lei l’autrice del libro) ha una caratteristica che la rende capace di questo: la considerazione positiva nei confronti degli altri. Non sto parlando di un forzato pensiero positivo, o di un “accorgersi del buono” negli altri, ma di un approccio alle persone raramente giudicante e, se giudicante, solo quel tanto che rende Chiara umana e imperfetta (in modo da farcela amare di più). Sembra dire: “Gli altri vanno bene così, anche se talvolta non ci piacciono troppo.” Questa è la considerazione positiva di cui parlo.
Infine, bisogna soffermarsi su quel personaggio misterioso che si amalgama così tanto nella folla di questo romanzo da passare quasi inosservato. E’ qualcosa di diverso, è una traccia, un indizio che ci porta al segreto profondo della vera Chiara, quella che continua ad esistere una volta che chiudiamo il libro.
E noi, in punta di piedi, ci allontaniamo portandoci via un pezzettino di lei.
Buona lettura.
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